Nel corso degli ultimi decenni, i Paesi arabi sono diventati una delle aree di maggior attrazione di investimenti stranieri, ed offrono grandi opportunità anche per le imprese italiane.
A partire dal 2001 l’Algeria ha intrapreso un percorso di riforme volto a liberalizzare e modernizzare l’economia mediante piani quinquennali, con l’obiettivo di dare impulso alla costruzione di infrastrutture di base, sviluppare il settore delle telecomunicazioni e quello della ricerca scientifica, migliorare i servizi pubblici e combattere la disoccupazione.
L’economia algerina è ancora estremamente dipendente dal settore degli idrocarburi, che costituisce il 25% del PIL del Paese; tuttavia, il governo ha iniziato ad attuare una serie di riforme che mirano alla diversificazione economica ed all’industrializzazione del Paese al fine di rendere l’economia maggiormente orientata verso le esigenze del mercato. Inoltre, il Paese sta lavorando per migliorare il clima imprenditoriale, favorendo in tal modo l’attrazione di investimenti esteri.
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Unico Paese arabo ad essere membro del G20, dell’Organizzazione della Cooperazione Islamica (OIC) e dell’OPEC, l’Arabia Saudita è il maggiore produttore ed esportatore di petrolio a livello mondiale e rappresenta il mercato economico più grande dell’Area MENA. Malgrado il ruolo predominante dell’industria petrolifera, il Regno ha avviato ormai da qualche tempo un intenso programma di riforme, culminato con il lancio del piano “Vision 2030” e volto a diversificare l’economia, promuovere gli investimenti stranieri e combattere la disoccupazione.
Nel fare ciò il governo saudita ha in programma ingenti investimenti in progetti strategici che riguardano l’energia, i trasporti ed i servizi.
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Il Regno del Bahrein vanta una delle economie più dinamiche ed accessibili dell’area. Significative riforme strutturali in ambito finanziario, del lavoro e degli investimenti lo hanno reso un hub commerciale e finanziario particolarmente competitivo. Primo tra i Paesi del Golfo ad avviare esplorazioni ed estrazioni del petrolio, il Bahrein è anche stato il primo Paese ad intraprendere la strada della diversificazione, facendone un punto di forza. Il settore dell’Oil&Gas rappresenta infatti circa il 19% del PIL del Paese, seguito dai settori dei servizi finanziari e del manifatturiero che rappresentano rispettivamente il 17% ed il 15% del PIL del Regno e sono considerati prioritari insieme con ICT (Information and Communication Technology) e servizi logistici.
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L’Unione delle Comore è uno Stato insulare dell’Africa Orientale di recente formazione. Pur essendo caratterizzato da una crescita contenuta, ed una bilancia dei pagamenti non ancora stabile, il Paese è si contraddistingue per un grande potenziale di sviluppo, soprattutto nei settori del turismo, dell’agricoltura, della pesca e delle infrastrutture.
Negli ultimi anni, la stabilità politica unita al sostegno di alcune istituzioni internazionali, tra le quali l’IMF, ha consentito al Paese di avviare una serie di riforme volte a migliorare l’economia e a generare un clima più favorevole agli investimenti esteri, ancora molto ridotti nel Paese. A tal fine, nel 2007 l’Unione delle Comore ha adottato una nuova legge sugli investimenti, destinata a facilitare l’accesso ai capitali e a creare condizioni migliori per trasferirli all’estero.
Tali misure sono poi state implementate a partire dal 2010, in seguito alla creazione di un’agenzia apposita.
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L’economia dell’Egitto è estremamente diversificata ed i suoi settori di punta sono l’industria manifatturiera, quella estrattiva e dei servizi e il turismo.
La collocazione geografica unita alla giovane età media della popolazione e agli sforzi profusi per riformare l’economia rendono l’Egitto un mercato molto promettente e ciò anche grazie al forte sostegno dei partner regionali, in primis Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Kuwait.
Il piano “Vision 2030” stabilisce le linee guida per gli anni a venire e prevede misure importanti per lo sviluppo sostenibile del Paese, promosso anche mediante l’adozione di una serie di misure, in particolare la revisione della legge sugli investimenti, la semplificazione del regime delle licenze ed una rinnovata legge fallimentare.
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Forti della propria posizione geografica, che li pone al crocevia delle principali direttrici est-ovest, e delle abbondanti riserve di combustibili fossili, che ne hanno sostenuto la crescita, gli Emirati Arabi Uniti hanno sviluppato un’economia solida, dinamica ed aperta, capace di attrarre visitatori ed investitori stranieri.
Si tratta di un mercato stabile, con una base industriale salda ed un settore dei servizi forte ed in espansione. Inoltre, la creazione delle cosiddette free zones ha fatto da catalizzatore dell’attrazione dei capitali stranieri, contribuendo notevolmente alla diversificazione economica del Paese. Nuove norme in materia di investimenti stranieri e di diritto commerciale hanno aperto la strada ad ulteriori opportunità anche al di fuori delle zone economiche di libero scambio.
La riduzione della dipendenza dal settore petrolifero, che pure resta un segmento strategico dell’economia emiratina, e lo sviluppo di settori quali le energie rinnovabili, le infrastrutture, le costruzioni ed il turismo, trainati anche dall’Expo 2020, rappresentano i settori chiave per la futura crescita del Paese.
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L’economia di Gibuti si basa in larga misura sul settore dei servizi, che rappresenta l’80% del PIL del Paese; di questa percentuale il 55% è costituito dal commercio. Situato nel Corno d’Africa, il Paese si trova su una delle direttrici marittime più trafficate al mondo e ciò lo rende il primo porto di trasbordo dell’Africa Orientale. Il potenziamento e la costruzione di strutture portuali costituiscono quindi una priorità per Gibuti, che mira a divenire un hub di riferimento per l’interscambio commerciale tra i propri vicini africani ed il resto del mondo. Grazie alla sua collocazione strategica, il Paese ha un grande potenziale per lo sviluppo dell’eco-turismo e dell’accesso alle infrastrutture di telecomunicazione.
Nonostante il Paese sia cresciuto molto a livello economico negli ultimi anni, Gibuti è ancora fortemente dipendente dagli aiuti internazionali, destinati in particolare a sostenere la bilancia dei pagamenti e a finanziare progetti di sviluppo, tra cui quelli dedicati alle infrastrutture di base. In questo contesto, il sostegno di istituzioni come la Commissione Europea e la Banca Mondiale consentirà al Paese di migliorare le proprie condizioni igienico sanitarie, di garantire un migliore e più diffuso accesso all’acqua potabile e all’energia elettrica e di sfruttare in maniera più efficace le fonti di energia geotermica.
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Nonostante le instabilità dell’area circostante, negli ultimi tempi, la Giordania ha assistito ad una discreta crescita economica che, stando alle stime del Fondo Monetario Internazionale, sembra destinata a durare. Contribuiscono al trend positivo in particolare gli investimenti ed i prestiti internazionali provenienti dal Consiglio di Cooperazione del Golfo, dall’Unione Europea e dagli USA.
Negli ultimi anni, inoltre, la Giordania ha siglato numerosi accordi commerciali, che si sono rivelati fondamentali per il rilancio dell’economia, tra questi l’Accordo di Associazione Euro – Mediterraneo (EU-AA), l’accordo dell’Area Araba Allargata di Libero Scambio (GAFTA) e l’accordo di libero scambio con gli USA (FTA).
Il Paese, inoltre, sta finalizzando programmi ad hoc, atti a ridurre il debito pubblico e a promuovere lo sviluppo sostenibile. Il Jordanian Investment Board ha, inoltre, indicato alcuni settori considerati “ad alto potenziale per gli investimenti”: si tratta in particolare di sanità e prodotti farmaceutici, turismo, istruzione, ingegneria, trasporti e logistica, industrie agroalimentari ed estrattiva. Grande impulso viene dato al settore privato mediante i programmi di partenariato pubblico privato (PPP) e la creazione di zone economiche che offrono molteplici vantaggi e benefici economici e fiscali.
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A partire dal 2003 gli sforzi di ricostruzione del Paese si sono concentrati sulla liberalizzazione dell’economia nazionale, sullo sviluppo della libera concorrenza e sull’attrazione degli investimenti esteri. A tal fine, il Paese ha approvato significative riforme strutturali, che hanno contribuito al miglioramento delle condizioni economiche. Nel settembre 2013, inoltre, l’Iraq ha lanciato il secondo Piano di Sviluppo Nazionale (NDP), tuttora in corso di implementazione, grazie al quale circa 357 miliardi di dollari sono stati allocati per la ricostruzione del Paese, dando priorità al rafforzamento dei settori dell’industria, dell’energia, del turismo e dell’agricoltura, destinati a diventare i pilastri dell’economia irachena.
Il Piano dovrebbe altresì favorire la concessione di incentivi, garanzie ed esenzioni a beneficio degli investitori, anche stranieri. Questi ultimi, in particolare, hanno diritto all’esenzione da alcune tasse per un periodo di 10-15 anni, al rimpatrio degli investimenti e dei profitti che ne derivano e ad assumere lavoratori stranieri per lo sviluppo di progetti, oltre a una tassa sulla società pari al 15%.
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Il Kuwait è uno degli Stati economicamente più produttivi e liberali del Consiglio di Cooperazione del Golfo. Negli ultimi cinque anni il Paese ha attuato una serie di misure atte a migliorare la cornice legislativa, tra le quali uno schema di privatizzazione, un piano di stabilità finanziaria e programmi di sviluppo economico. Sono ancora in fase di elaborazione altre riforme riguardanti, in particolare, il mercato dei capitali, le normative sul lavoro e leggi atte a migliorare il quadro normativo a favore delle imprese commerciali.
Alle suddette misure di miglioramento del quadro legislativo, si affiancano quelle introdotte per diversificare l’economia: il Paese è tuttora fortemente dipendente dall’industria petrolifera e ciò rappresenta la sfida principale cui si rivolge il piano di sviluppo 2015-2020, attualmente in corso di implementazione.
Al pari di altri Paesi arabi, anche il Kuwait ha lanciato la propria Vision (Vision 2035), che prevede la realizzazione di progetti per un totale di 116 miliardi di dollari. Tra gli obiettivi strategici del piano l’aumento del PIL, il rilancio del settore privato, il potenziamento del ruolo regionale del Paese, che si prefigge di divenire un importante hub finanziario e commerciale.
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Secondo le stime della Banca Mondiale, negli ultimi anni la crescita economica del Libano ha conosciuto qualche battuta d’arresto causata, perlopiù, dalla tensione politica interna e dal deterioramento delle condizioni di sicurezza dell’area, che hanno finito per avere un impatto negativo su investimenti, turismo ed esportazioni. Per rilanciare l’economia, il governo, sollecitato dal Fondo Monetario Internazionale, ha intrapreso una politica destinata a rinsaldare le finanze pubbliche, ridurre il peso del debito del Paese, potenziare le infrastrutture e migliorare il clima economico ed imprenditoriale. A tal fine sono state adottate riforme strutturali che mirano a migliorare la competitività e potenziare le infrastrutture.
Nonostante i volumi degli scambi siano più contenuti rispetto ad altri Paesi arabi, le affinità con il mondo occidentale, anche in relazione ai sistemi industriali, la posizione strategica che lo rende un crocevia per gli scambi con il Medio Oriente, e il forte interesse per il brand italiano rendono il Libano un mercato strategico per l’Italia.
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Malgrado la forte instabilità che la caratterizza, la Libia rimane un partner interessante per via delle abbondanti risorse e dei mezzi finanziari di cui dispone.
Molte delle sanzioni che colpivano il Paese sono state orami eliminate e ci si attende che grandi progetti ed investimenti in ambito infrastrutturale riprendano allo stabilizzarsi della situazione politica. In quest’ottica, la Libia presenta dunque grandi opportunità di investimento, soprattutto nel settore delle costruzioni e nell’industria petrolifera, che ha già cominciato a dare importanti segnali di ripresa.
Negli ultimi anni, la politica economica intrapresa dal Marocco, unita al potenziamento di strategie sociali e settoriali di sviluppo, hanno consentito al Paese di raggiungere una stabilità macroeconomica caratterizzata da bassi livelli di inflazione, un migliorato settore finanziario e continui progressi nello sviluppo dei settori dei servizi e dell’industria.
In linea con altri Paesi dell’area, anche il Marocco ha intrapreso un piano di sviluppo volto a ridurre la propria dipendenza energetica; esso mira a sfruttare la posizione strategica del Paese, potenziando in particolare il settore della logistica, e ad attrarre investimenti diretti esteri, atti a rilanciare il settore dell’industria e delle esportazioni.
Sul fronte degli accordi commerciali internazionali, sono in corso negoziati con l’Unione Europea per rafforzare le relazioni commerciali tra le parti, in vista di un futuro accordo di libero scambio, che elimini le barriere non tariffarie e semplifichi le procedure doganali.
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Lo sviluppo economico della Mauritania punta principalmente sui settori di agricoltura ed allevamento, in particolare pesca, lavorazione del pesce e produzione di olio. Particolarmente significativa è, inoltre, l’industria estrattiva; grazie alle ingenti risorse di cui dispone, il Paese è attualmente il secondo principale esportatore di ferro del continente africano.
Le importazioni riguardano invece i settori dei macchinari, dei prodotti petrolchimici, dei generi alimentari e dei beni di consumo.
Positive sono le prospettive di crescita dell’economia mauritana: grazie alla cooperazione con diverse istituzioni internazionali e alla realizzazione di vari progetti di sviluppo, il Paese sta intraprendendo la strada dello sviluppo sostenibile. Punto cruciale resta, tuttavia, il tema della crescita e dell’integrazione delle piccole e medie imprese, che svolgono un ruolo di primo piano nella diversificazione dell’economia e nella creazione di nuovi posti di lavoro.
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L’Oman ha da sempre promosso il settore privato, considerato il principale motore di crescita del Paese. La strategia di sviluppo del Sultanato si basa, quindi, sulla creazione di un’economia di mercato estremamente competitiva.
Come molti Paesi arabi, anche l’Oman sta attuando una politica di diversificazione dell’economia, che si concretizza nella cosiddetta “Vision 2020”. L’obiettivo è la riduzione della dipendenza del Paese dal petrolio, attraverso un impulso ancora maggiore al settore privato e, in particolare, l’espansione del settore del gas e la promozione del turismo.
Il piano quinquennale di sviluppo attualmente in corso (2016-2020) prevede, inoltre, investimenti per 106,5 miliardi di dollari e progetti per lo sviluppo di infrastrutture e trasporti.
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L’economia della Palestina è fortemente influenzata dal clima di incertezza politica che caratterizza il Paese e dipende in larga parte dagli aiuti stranieri.
Nel febbraio 2016, la Banca Mondiale ha approvato un investimento di 40 milioni di dollari a sostegno del piano di sviluppo palestinese, volto a ridurre il debito pubblico ed aumentare la trasparenza delle finanze pubbliche, al fine di migliorare il clima imprenditoriale ed attrarre investimenti.
Il settore privato è in crescita, nonostante necessiti di un maggiore impulso per riuscire a superare l’ostacolo della disoccupazione. Previsti anche progetti destinati al potenziamento delle infrastrutture di base ed alla promozione del commercio e delle attività economiche.
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Negli ultimi dieci anni il Qatar è stato protagonista di una straordinaria crescita economica, sostenuta in larga misura dalle ingenti risorse di petrolio e gas naturale di cui il Paese dispone. Ciò ha portato all’attuazione di una strategia di investimenti in settori chiave quali la sanità, l’istruzione, il petrolchimico e il commercio. Le infrastrutture godono di un’attenzione particolare in linea con la domanda generata dai mondiali di calcio del 2022.
Supportato dalle stime positive del Fondo Monetario Internazionale sulla crescita del Paese, il Qatar rappresenta un ottimo mercato in cui investire. Settori estremamente promettenti in termini di opportunità commerciali e di investimenti sono considerati le costruzioni, i servizi finanziari, la ricerca e lo sviluppo, l’IT, il turismo ed il petrolchimico.
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L’economia siriana continua a deteriorarsi per effetto del conflitto che attanaglia il Paese ormai da sei anni. Il governo siriano ha cercato a fatica di fronteggiare gli effetti delle sanzioni internazionali, nonché gli ingenti danni infrastrutturali, la riduzione della domanda e della produzione interna, finanziamenti ridotti ed inflazione sempre crescente.
Prima del conflitto la Siria aveva cominciato ad adottare una serie di misure che andavano nella direzione di una parziale liberalizzazione dell’economia, ancora fortemente regolamentata.
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Nonostante l’instabilità politica, la Somalia è riuscita a mantenere un’economia informale relativamente sana, sostenuta in larga misura dal commercio di bestiame, dalle telecomunicazioni e dalle rimesse di denaro.
I prodotti maggiormente esportati sono bestiame, pellame, pesce, carbone e banane; il Paese dispone anche di numerose risorse naturali, quali uranio, riserve di ferro grezzo, stagno, bauxite, rame, sale, gas naturale e qualche riserva di petrolio.
Il settore industriale resta ancora relativamente poco sviluppato, poiché ha risentito degli ultimi anni di crisi e di embargo. Al contrario, il settore dei servizi è in forte crescita.
Nel 2015, il Fondo Monetario Internazionale ha creato un Trust Fund di 9 milioni di dollari, volto ad incoraggiare lo sviluppo del Paese, attraverso il rilancio di istituti e politiche macroeconomiche in grado di dare impulso all’economia.
Malgrado le molteplici difficoltà associate alla situazione politica ed economica della Somalia, l’interesse per il Paese è certamente in crescita. Tra i settori di potenziale interesse per gli investitori stranieri vanno segnalati le infrastrutture, l’energia, le telecomunicazioni, l’immobiliare, la pesca, l’istruzione e la sanità.
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La divisione del Sudan, seguita al referendum del 2011, ha posto al Paese una serie di sfide economiche e sociali che il Paese sta tuttora affrontando. Tuttavia, la perdita di circa il 75% delle riserve petrolifere a favore del Sud Sudan ha stimolato nel Paese l’introduzione di una politica di diversificazione, mirata in particolare allo sviluppo sostenibile.
Malgrado la divisione, le economie dei due Paesi restano interdipendenti, ponendo così le basi per uno sviluppo economico prospero ed una convivenza pacifica. La fine del conflitto, inoltre, ha aperto la strada ad investimenti ed aiuti stranieri, necessari per lo sviluppo del Paese, e facilitati dall’adozione del Sudanese Investment Act, ratificato nel 2013.
Il Sudan ha inoltre intrapreso una pluralità di progetti ambiziosi per assicurare la sicurezza alimentare e lo sviluppo sostenibile al Paese. Settori di punta continuano ad essere il manifatturiero, l’industria estrattiva e l’agroalimentare.
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La vicinanza geografica, unita alla sempre maggiore integrazione nella regione euro-mediterranea rendono la Tunisia il partner commerciale ed economico ideale per l’Italia.
Negli ultimi anni il Paese ha conosciuto una crescita stabile che, secondo le stime del Fondo Monetario Internazionale, sarebbe destinata a protrarsi anche nel 2017. Inoltre, sono previste una serie di riforme sia strutturali che legislative, tra le quali la modernizzazione delle dogane, una nuova legge sul partenariato pubblico privato ed il nuovo codice degli investimenti, destinate a dare ulteriore impulso all’economia del Paese, e a fargli riguadagnare la fiducia degli investitori internazionali.
Proprio al fine di rilanciare il Paese, il governo tunisino ha presentato, nel novembre 2016, un piano strategico di sviluppo quinquennale che prevede, tra le altre cose, una serie di progetti infrastrutturali e d’investimento, pubblici e privati, del valore di 60 miliardi di dollari; tali progetti sono considerati un punto fondamentale della politica tunisina, in quanto destinati allo sviluppo del Paese e alla riduzione della disoccupazione
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Le prospettive dell’economia yemenita sono strettamente legate alla capacità che il Paese dimostrerà nel ritrovare la stabilità politica nel breve periodo e nel mettere a punto nuovi strumenti in grado di garantire una crescita economica nel medio-lungo periodo. Gli introiti derivanti dal settore petrolifero sono destinati a scomparire con l’atteso esaurimento delle riserve entro il 2021, con effetti attutiti, ma non del tutto compensati, da produzione ed esportazione di gas naturale liquefatto.
In questo contesto, sarà assolutamente prioritario per lo Yemen dare impulso al settore privato ed elaborare una strategia efficace per trovare soluzione al problema della disoccupazione, che attualmente affligge il Paese.
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